COPPER BASIN 300
Long Distance Race 500 km
8 gennaio 2022 - 11 gennaio 2022
My Yukon tale
Sono passati
quasi 6 anni da quella notte maledetta al check point di Mile 101 dove a causa
di un virus intestinale che si era diffuso tra i cani avevo visto la mia Yukon
Quest 300 finire a metà strada e anni di lavoro e sacrifici andare in fumo in un
attimo.
Primavera 2021
Ogni anno dopo
l’inverno 2016 ho cercato di vedere se ci fossero i presupposti per tornare in
Alaska e scacciare i fantasmi di quella notte e portare a termine una delle gare
che mi avevano sempre affascinato. In realtà non solo la Yukon Quest ma anche
altre che come un tarlo si erano insinuate nella mia testa.
Sono stati anni
complicati per mille ragioni ma si sa per i grandi progetti c’è bisogno di tempo
e quando è il momento le tessere del puzzle si incastrano da se.
Durante un
viaggio in Alaska e nello Yukon nel maggio/giugno 2019 avevo avuto modo di
confrontarmi e buttare le prime basi per una data futura per tornare lassù e
lavorare con quello che attualmente è il musher, che alleva e usa siberian
huskies nella lunga distanza, più importante al mondo. Un onore per me ma anche
tanto timore reverenziale verso un personaggio come Rob Cooke: tante Yukon Quest
e Iditarod portate a termine ma anche altre gare con meno rilevanza mediatica ma
durissime.
Sarei dovuto
star via alcuni mesi e chiaramente non era facile trovare l’inverno giusto
nell’anno giusto per realizzare questo progetto.
Con Monia
riflettiamo e ci rendiamo conto che l’inverno 2021/2022 poteva essere il momento
atteso da tanto. Tutto sembrava incastrarsi alla perfezione.
“We let our dreams take over. We stopped saying someday and started saying next year, next month, next week. Alaska or bust.”
(Ann Mariah Cook, La Mia Alaska)
Scrivo a Rob per
prendere gli ultimi accordi. Lui mi risponde che posso andare quando voglio e
che posso correre le gare che desidero usando i suoi cani e alcuni dei miei. Mi
sembra un sogno che in realtà mi spaventa anche: usare i suoi siberians, correre
le gare che avevo sempre desiderato, aiutarlo e imparare tanto da lui. Ciò che
avevo sempre sognato stava diventando realtà.
Decidiamo di
iscriverci alla Yukon Quest 200 io e alla Yukon Quest 550 lui, poi una sera mi
scrive dicendomi che potremmo fare anche la Copper Basin 300.
Ecco, se avessi
avuto ancora qualche speranza di dormire, con questa notizia le notti sarebbero
passate praticamente tutte in bianco.
La Copper Basin
ha la fama di essere una delle gare più dure in Alaska. Circa 500 km con
partenza da Glennallen in una delle zone più fredde e impervie ma anche in uno
scenario meraviglioso.
I mesi estivi e
l’inizio dell’autunno volano veloci tra preparativi, ricerca di sponsors per
coprire le altissime spese del viaggio e tutto quello che significa organizzare
una stagione di allenamenti e gare con base nello Yukon per poi spostarci ogni
volta in Alaska con un viaggio di 15/17 ore lungo l’Alaska Highway per la
partenza delle varie competizioni a cui siamo iscritti.
La data della
mia partenza viene fissata: 8 novembre con un volo da Monaco in Germania fino a
Chicago per poi proseguire fino ad Anchorage in Alaska.
Il mio amico Wayne mi ospita fino a quando Rob viene a
prendere me, i cani, la slitta, i bagagli
e tutte le attrezzature. Iniziamo un viaggio
infinito fino a casa sua appena a sud di Whitehorse nello Yukon. Facciamo una
sosta a Tok, dal mitico Fast Eddy’s, per cenare e passare la notte e ripartiamo
la mattina dopo alle 5.
Sia
io che Rob ci troviamo d’accordo nel trangugiare litri e litri di caffè mentre
ascoltiamo buona musica. Ho lo sguardo fisso fuori dal finestrino: una strada
infinita nel nulla ma ciò che i miei occhi vedono è uno spettacolo
drammaticamente stupendo fatto di montagne, foreste innevate, laghi e fiumi
ghiacciati, alci e caribù che ci ricordano che lì i padroni sono loro. Ho già
percorso quella strada a fine maggio di 2 anni prima: è così diversa adesso e mi
rendo conto che manca qualcuno e manca tanto. Due anni prima in macchina con me,
Monia e Mirko c’era la nostra Michela: guardo verso il sole basso all’orizzonte
e so che mi sta sorridendo.
La strada sembra
non finire mai e io non sto più nella pelle. Voglio arrivare, conoscere i cani,
iniziare ad allenare, iniziare ad imparare da Rob. Lui mi anticipa che c’è neve
ma non abbastanza per uscire in slitta con teams grandi di 12/14 cani quindi
almeno per il momento useremo i quads con 15 cani ciascuno: va benissimo!!
Voglio solo cominciare.
La mia prima
mattina inizia molto presto con la sveglia che suona alle 5.30 (orario che ahimè
diventerà una consuetudine) ma per vedere sorgere il sole dobbiamo aspettare
molte ore visto che comincia a far capolino dietro alle montagne intorno alle 10
per poi tenersi basso fino al tramonto che arriva nelle prime ore del
pomeriggio.
Ci carichiamo
con un caffè bollente e usciamo a far mangiare i cani e pulire i recinti alla
luce delle frontali. Con le temperature che abbiamo qui i cani bevono mangiando
una zuppa con crocchette alta energia della Red Paw, carne o pesce, olio di
salmone e integratori. Sarebbe impossibile lasciare loro a disposizione acqua
nella forma liquida per più di pochissimi minuti.
L’inizio degli
allenamenti coincide con l’inizio del mio rapporto di odio e amore con i booties.
I booties vanno sempre messi e messi bene, ogni volta che vengono persi vanno
rimpiazzati appena possibile, appena si finisce vanno tolti a tutti i cani,
vanno selezionati per tenere quelli ancora buoni, vanno fatti asciugare e
preparati per il giorno successivo… vi assicuro che diventeranno i vostri
migliori compagni di vita, ve li ritroverete ovunque: in tasca, in giro per
casa, in ogni comparto della slitta e nei luoghi più impensabili.
Quando iniziamo
a preparare il team io sono lentissimo rispetto a Rob anche perché faccio fatica
a riconoscere i cani visto che molti sono completamente bianchi, inoltre devo
ricordarmi taglia degli imbraghi, dei booties, se devono indossare la shirt
sotto gli imbraghi o i leggins e se nel team devono stare sulla destra o a
sinistra.
Tranquilli….riusciamo a partire ed è bellissimo, gli Shaytaan Siberians, con in
mezzo i miei cani che non sfigurano affatto sono bellissimi da vedere mentre
vanno in un paesaggio da favola dove però improvvisamente realizzo che sarebbe
facilissimo perdersi visto che è un labirinto di trails e allora decido con me
stesso che forse è meglio per un pò mettere da parte la mia visione idilliaca e
tenere d’occhio Rob che è poco più avanti se voglio tornare a casa sano e
salvo!!
In ogni cosa che
facciamo, in ogni corsa d’allenamento cerco di capire, studio e cerco di
imparare da Rob e dalla sua esperienza. Tutto ciò che scopro ogni giorno mi
serve per lavorare al meglio con i cani del team: loro crescono fisicamente e
mentalmente e la stessa cosa succede a me, sento che sto cambiando e sto
entrando nella giusta dimensione per poter affrontare questa stagione che si
presenta così impegnativa. E’ incredibile vedere quanto i cani mi stanno
aiutando e quanto la mia crescita fisica e di testa sia importante per ottenere
il meglio da loro.
Fortunatamente
nei giorni che seguono scende molta neve fresca che ci permette finalmente di
uscire in slitta e allora tutto diventa più bello soprattutto per il silenzio
che andando con il quad non puoi goderti. I trails sono molto tecnici e c’è da
guidare molto la slitta, ma fortunatamente noi italiani abituati ai percorsi che
abbiamo sugli Appennini o le Alpi questa cosa sappiamo farla molto bene e
nonostante qualche passaggio dove devo mettere tutto il mio impegno ce la
caviamo egregiamente. I giorni passano e le distanze in allenamento diventano
sempre più lunghe, stiamo fuori anche 9 ore con una singola corsa d’allenamento
facendo solo le soste per gli snack ai cani ogni ora e mezza. Ogni tanto stiamo
fuori più giorni simulando la routine della gara.
Divento
velocemente familiare con tutti i tracciati e una mattina Rob mi dice: ok, ora
conosci i trails, oggi esci da solo. La cosa mi spaventa ma mi lusinga anche.
Certo, andiamo!
Iniziamo ad allenare separatamente, lui esce più tardi di
me quando finisce di lavorare così io lo aiuto a sistemare il suo team al suo
ritorno. Alleniamo insieme solo quando facciamo due o più
giorni fuori e campeggiamo lungo il percorso.
Io ho sensazioni
positive, i cani sono in forma e vanno davvero forte e io mi sento uno di loro
in tutto e per tutto. Riescono a sostenere più giorni di distanze davvero
impegnative, sono sempre eccitati quando devono essere attaccati e soprattutto
mantengono un ottimo appetito che in un cane da slitta è una delle
caratteristiche più importanti soprattutto quando comincia il periodo più
intenso sia come distanze che come intensità di allenamenti.
Sarà che le
giornate sono sempre piene, sarà che il tempo vola e ci ritroviamo già ai giorni
precedenti la Copper Basin: dobbiamo preparare le drop bags con i rifornimenti
da spedire ai vari check points e forse ce la prendiamo troppo comoda tanto che
finiamo la notte prima della nostra partenza da casa alle 2 e la sveglia suonerà
implacabile alle 4.
Partiamo con 24
cani, distribuiti un pò nel truck e un pò nel trailer, slitte, attrezzature
varie, bagagli e chi più ne ha più ne metta e noi carichi di entusiasmo,
pensieri, ansia, timore verso una gara con una tale fama. Il viaggio è
lunghissimo, il nostro truck comincia a darci le avvisaglie di qualche problema
meccanico che più avanti si rivelerà molto grave. Arriviamo a Glennallen in
Alaska solo a tarda sera e la partenza è la mattina dopo. Vabbè
rassegniamoci…dormiremo a fine gara, forse…
Glennallen,
Alaska.
5:00 a.m. - 8 gennaio 2022 circa -50°
E’ il grande
giorno. La notte è passata velocemente con i miei occhi e il mio cervello fin
troppo in vigile attesa: ero definitivamente entrato nel mood “voglio partire il
prima possibile!”.
Ci svegliamo
alle 5 per far mangiare i cani e farli scendere. La partenza è alle 10.
Approfittiamo del tempo che i cani sono allo stake out a sporcare per
controllare le ultime cose. Rob prova ad accendere il truck che nonostante sia
stato attaccato tutta la notte alla rete elettrica, per tenere caldo il blocco
motore non vuol saperne di partire. Questo è un grosso problema visto che lo
start è in un altro posto dall’altra parte della strada anche se non
lontanissimo. Rob chiama dei suoi amici che con i cavi provano in ogni modo a
fare il miracolo ma senza risultati. Alla fine l’organizzazione ci metterà a
disposizione un quad attaccato dietro alla slitta per frenarla e alcuni
volontari per reggere i cani quando dovremo attraversare la strada e raggiungere
la linea di partenza. Andiamo a far colazione e al tavolo ci raggiunge Brent
Sass con il suo handler e cominciamo tutti a parlare di quanto sia dannatamente
freddo quella mattina e di quanto sia duro il percorso di gara. Io affogo
l’ansia e l’eccitazione in uova, pan cakes e tanto tanto caffè… non si sa mai
meglio fare scorta!!
Dopo colazione
vedo che il tempo stringe, sono il primo a partire e devo sbrigarmi. Vado in
camera, mi cambio vestendomi adeguatamente e esco. Slitta e linee sono pronte,
tiriamo giù i cani e iniziamo a imbragarli, mettiamo booties e anche i
cappottini a tutti vista la temperatura. Io lo faccio con i mezzi guanti e le
mie dita ne pagano le conseguenze, frostbites fortunatamente leggeri su tutte le
dita delle mani. Purtroppo mettere i booties con i guanti è praticamente
impossibile, sapevo che ci sarebbero state conseguenze fisiche per me ma non
potevo fare altro.
Mancano 10
minuti alla partenza, è ora di attaccare i cani. Ho Jack e Mrs Hudson come
leaders, Hitch e Redgrave in swing, Molly e Alfie, Light e Alba, John e Finn,
Tommy e Frontier in wheel.
Arriva il quad
che mi accompagnerà alla start line. E’ ora, andiamo. E’ emozionante da morire.
La mitica Copper Basin 300 e io sto per partire tra l’altro con il pettorale
numero 1 e dietro di me prenderà il via gente come Matt Hall, Brent Sass, Nic
Petit, Jessie Holmes, Joar Ulsom, Paige Drobny!!!
Una volta sotto
la linea di partenza Rob, che partirà dopo circa 40 minuti, sale sulla mia
slitta per tenerla ferma e io vado a controllare e a parlare con i cani per
qualche ultima coccola e raccomandazione. Poi il countdown scandisce gli ultimi
30 secondi, risalgo in slitta sono solo felice, carico e pronto. Tutte le paure,
le ansie sono scomparse.
Three, two, one…
Let’s go! Prossima sosta Tolsona Lake dopo circa 72 km.
“Giordano
left under Bib #1 at 10.00 with Jack and Mrs Hudson in lead; Redgrave and Hitch;
Alba and Light; Molly and Alfie; Finn and John; and Tommy and Frontier. I made
the decision at 08:30 not to start. The truck is dead and whilst we have a back
up truck for handling thanks to Amy , I couldn’t go and leave Sally to sort this
out. The last 72 hours have been bad and this was the final straw. Please do
keep tracking Giordano, this is a cold race!” (Rob Cooke)
I cani partono
davvero bene, per i primi km il trail segue parallelamente la strada e qui mi
torna in mente uno dei motivi per cui amo tanto correre in Alaska: la
gente…famiglie con bambini, persone con le macchine ferme che ti salutano, ti
incoraggiano magari anche solo con un sorriso e il calore che ti arriva è
immenso nonostante la temperatura sia sempre intorno ai -50.
Io continuo a
voltarmi so che mi passeranno praticamente tutti essendo io l’unico team di pura
razza ma non si vede ancora nessuno dietro a me.
Dopo una ventina
di km sono ancora da solo e svoltiamo a sinistra salendo in modo repentino, devo
fermarmi per il primo snack ai cani e comincio a vedere in lontananza un team
che si avvicina, va bene non è un problema, lo immaginavo ma io devo solo
finirla per un milione di ragioni. Ripartiamo e superiamo la famosa pipeline che
dalla costa nord dell’Alaska trasporta il petrolio verso Valdez e il sentiero
comincia a snodarsi in mezzo a foreste boreali di abeti, i colori sono
straordinari, i miei cani continuano con il loro ritmo regolare e io li osservo
sereno e soddisfatto: bravi ragazzi andiamo così con il nostro passo.
Arriviamo più
velocemente di quanto programmato al primo check point situato sul lago Tolsona
ghiacciato. Vedo Rob lì ad attendermi e scopro che non è potuto partire a causa
dei problemi al truck, resto senza parole, mi dispiace da morire, non è giusto!
Lui mi dice che non devo preoccuparmi, che è tutto ok ma so che anche a lui non
piace aver dovuto rinunciare ma ora è lì e si dedica completamente a me.
C’è anche un altro grandissimo musher che ha dovuto rinunciare alla gara per problemi al suo mezzo a causa del freddo e ha chiesto all’organizzazione di poter aiutare come volontario, Nic Petit. Un altro ragazzo eccezionale che potrebbe guardare dall’alto in basso gran parte degli iscritti per la sua esperienza e il suo palmares ma invece no, qui funziona così, aiutarsi è alla base di tutto e il mondo del mushing italiano potrebbe tanto imparare a livello di umiltà e unità.
A qualche centinaio di metri sulla sponda c’è il lodge
dove potrò mangiare qualcosa e far rifornimento di caffè ma prima devo pensare
ai cani: snack, via i booties, metto la paglia dove potranno dormire un pò
e comincio a far bollire l’acqua. Apro le drop bags
e cerco tutto ciò di cui ho bisogno per me e per i cani. Intanto nel frigo
portatile che usiamo per preparare il pasto metto crocchette, carne congelata e
integratori. Appena l’acqua bollirà la verserò sopra a tutte queste “leccornie”
e la lascerò impregnare il tutto per un pò, poi servirò la cena ad ogni cane con
un mestolo in ogni ciotola. Servita la cena i cani si raggomitolano sulla paglia
e io salgo al volo a mangiare qualcosa. Non ho molto tempo, mi fermerò circa 3
ore e mezza e tra il tempo già trascorso e quello che mi servirà per preparare
di nuovo i cani avrò per me forse un’ora. Il prossimo check point è a circa 50
km, Lake Louise stiamo arrivando.
“Giordano is in and out of the Tolsona Checkpoint staying bang on the 3 1/2
hours we had agreed we would do. All dogs looking and performing well.” (Rob
Cooke)
Il tratto che ci porta verso il secondo check point è in realtà abbastanza
tranquillo nonostante una lunga salita iniziale ma poi fila via senza intoppi,
io guardo il cielo e c’è un accenno di aurora boreale. Penso sia un segno…
andiamo ragazzi!
Arrivo a Lake Louise intorno mezzanotte e appena sistemati i cani l’aurora
inizia a dare il meglio di se. E’ una danza di luci e colori che lascia sempre
senza fiato nonostante l’abbia vista tante volte. Avrei voluto fotografarla come
tanti altri scenari spettacolari lungo il trail ma a quelle temperature il mio
telefono è irrimediabilmente sempre morto.
La mia testa torna velocemente alla gara. Per arrivare al prossimo checkpoint,
Sourdough, dovremo percorrere 55 miglia e quel checkpoint è famoso per essere il
più freddo, misero e disgraziato di tutta la gara dove per noi mushers ci sono
solo due piccole tende con un pò di paglia in terra. Ripartiamo da Lake Louise
intorno alle 4 di notte quando sul lago è scesa una nebbia ghiacciata che per le
prime miglia mi fa pensare più volte di aver sbagliato a qualche bivio ma
fortunatamente non è così.
Sta andando tutto bene, i cani vanno, io sono in forma e sono lucido. Si
finalmente la mia buona stella ha deciso di prendersi cura di me.
Questa convinzione svanisce però alle prime luci dell’alba. Uno dei miei cani,
Light, comincia a zoppicare. Ha un problema ad una delle zampe anteriori.
Conosco troppo bene quel movimento innaturale e sento crollarmi il mondo
addosso. So che per lui la gara è finita pur essendo un infortunio leggero e so
che dovrò caricarlo in slitta e mancano 40 km al prossimo check point dove potrò
lasciarlo nelle mani di Rob e alle cure dei veterinari. Con un cane
importantissimo in meno e con il suo peso a bordo la gara è compromessa. Mi
salgono le lacrime agli occhi…no non è possibile…succede sempre qualcosa, non è
giusto. Sembra una maledizione. Non so dove posso aver trovato la forza di
andare avanti ma in questa gara ho scoperto energie e motivazioni in ogni cosa e
dal pensiero di ogni persona che mi spingeva dall’Italia e non solo e alla fine
molto molto lentamente raggiungiamo Sourdough. Ci prendiamo alcune ore, mangio
delle provviste congelate che avevo in slitta scaldandole nell’acqua che sta
bollendo per i cani e dopo essermi steso una quarantina di minuti sulla paglia
in una delle tende inizio a preparare il team per lasciare il checkpoint.
Ci attende un tratto di trail durissimo che ci porterà a Meiers Lake. Sono poco
più di 30 miglia ma le ultime sono un inferno con numerose salite con pendenze
pazzesche.
“Giordano
and the team rolled in to Sourdough at around 2pm with Light in the bag, we
could actually here him announcing the team’s arrival from about a mile out.
After a really cold run across from Lake Louise all the dogs looked great but
dogs, and musher, looked pleased to be off the trail. With a tough 30+ miles
ahead, Giordano stayed 5 hours to give the dogs plenty of rest and with the
skies clearing and wind dropping, they headed off for Meiers Lake and a 7 hour
layover just after 7pm with 11 dogs on the lines, having left Light behind with
a slightly sore wrist. Light is now chilling” (Rob Cooke)
Meiers Lake è una sorta di miraggio. Farò riposare i cani circa 7 ore e io forse
né farò un paio di sonno che in questi giorni è un gran lusso. Però bisogna
arrivarci. Gran parte del tracciato è scorrevole e tutto procede alla grande ma
sono le ultime miglia quelle terribili. Iniziano una serie di salite che in
realtà sono dei veri e propri muri dove a volte ho difficoltà anche io a salire
puntando gli scarponi sulla neve. Non finiscono mai, ogni volta che pensi sia
l’ultima si ricomincia a salire da capo. Sono sudato nonostante siamo
abbondantemente sotto i -20. Voglio solo che finisca presto questo calvario,
comincio per la prima volta ad accusare stanchezza anche mentale. E’ durissima e
non riesco ancora a vedere il check point nemmeno in lontananza. Arriviamo alle
2 di notte quando le mie forze sono quasi esaurite. Ricordo solo di aver detto
ai giudici di gara: ”I’m done”, “è finita”.
No, non è finita un ca**o!!!! In pochissimo tempo ritrovo le forze e ritrovo
soprattutto la testa, in questa gara andrà sempre così, riuscirò a trovare la
spinta per andare avanti non so nemmeno io dove ma ora una mezza idea ce l’ho e
la tengo segreta nel mio cuore.
Domani c’è la tappa più lunga, 110 km con in mezzo la terribile montagna “The
Hump”.
Si dice che le cose non siano sempre terribili come ci si aspetta, infatti a
volte sono ben peggiori: l’avvicinamento alla “montagna” non inizia nel modo
migliore e sono costretto a lasciare Redgrave e Frontier al checkpoint,
rimaniamo con 9 cani.
Le prime 16 miglia costeggiano la pipeline lungo una salita regolare con alcuni
strappi con forte pendenza. Intanto il tempo peggiora, inizia a nevicare e il
vento comincia a dare abbastanza fastidio. The Hump è coperta di nuvole
minacciose e lassù vento e neve significano trail cancellato e visibilità
scarsissima. Parlo con i cani e gli dico… ok andiamo a vedere lassù com’è
ragazzi!
Lasciata la pipeline prima di affrontare la salita svoltiamo a destra andando in
una vallata e in mezzo ad alcune paludi ghiacciate per poi dover attraversare il
Gakona river, un fiume largo un km e mezzo ad occhio e croce e dove so già che
dovremo affrontare situazioni poco simpatiche, infatti ci è stato comunicato che
troveremo dei tratti con acque aperte. Il primo lo troviamo subito, c’è un
settore dove vedo appena un velo di ghiaccio e sotto la corrente del fiume ben
visibile.
I leaders si rifiutano di proseguire e non posso dargli torto. Provo a dare il
comando di andare due o tre volte ma niente. Ok, capisco che l’unico modo è
scendere e portare i cani dall’altra parte tirandoli. Appena poggio il piede sul
ghiaccio sprofondo con l’acqua che arriva ben sopra al ginocchio, non so come io
riesca a mantenere la calma ma riusciamo ad attraversare. I cani stanno tutti
bene si scrollano via l’acqua che altrimenti ghiaccerebbe velocemente, i miei
scarponi Cabela’s TransAlaska sono completamente ricoperti di ghiaccio come
anche la tuta fino a dove ci siamo bagnati. Tiro via tutti i booties dei cani
che ormai sono rigidi e inutilizzabili. Tiriamo un profondo sospiro di sollievo,
forse anche due e proseguiamo. Dopo aver superato un altro tratto con acqua, ma
molto più semplice questa volta, iniziamo ad arrampicarci verso lassù. Mentre
saliamo aiuto i cani li guardo, mi danno sicurezza, ci sentiamo una squadra e
non abbiamo paura di nulla.
Arriviamo vicini alla vetta dopo molto tempo, siamo ben al di sopra della linea degli alberi e vediamo solo neve con il trail cancellato in vari tratti da snowdrifts causati dal vento. Fortunatamente i markers si vedono ancora e l’istinto dei cani è impagabile. Arriviamo in cima quando le nuvole hanno lasciato spazio ad un cielo sereno che ci permette di spaziare su ogni lato quasi all’infinito. Dio mio è bellissimo quassù, ne è valsa la pena. Facciamo una pausa snack in vetta ma poi velocemente scendiamo più in basso dove siamo più protetti dal vento e dove ho deciso di campeggiare un pò per far riposare i cani e rimettere tutti i booties.
Dopo la pausa i cani riprendono un bel ritmo e iniziamo a seguire un trail lungo il fiume Chistochina ma manca ancora davvero tanto. Intanto scende la notte e noi iniziamo un tratto lungo una strada forestale che durerà alcune ore e che mi metterà in seria difficoltà a livello mentale. A forza di andare mi sembra di essere sempre nello stesso punto e quasi di girare per tornare ogni volta al punto di partenza. La stanchezza mentale comincia ad essere molta e pericolosa. Ho momenti in cui mi sembra di risvegliarmi improvvisamente e mi chiedo se davvero sono lì o sto sognando. Il culmine lo raggiungo quando comincio a sentire voci che mi sembrano reali: persone che conosco mi parlano degli argomenti più disparati, mia zia mi parla di un fantomatico matrimonio di qualcuno. Io a volte rispondo a queste voci. E’ la mancanza di sonno, lo so, devo essere in grado di gestire tutto questo altrimenti rischio di impazzire. Ogni tanto dove il tracciato lo consente chiudo gli occhi e faccio dei microsonni. Non sono sufficienti ma mi aiutano a proseguire.
Arriverò al checkpoint di Chistochina a notte fonda dopo circa 15 ore sul trail.
Tra poche ore ripartiremo per gli ultimi 80 km verso il traguardo, dobbiamo
stringere i denti, dobbiamo trovare energie ovunque esse siano, dobbiamo
portarla a casa in ogni modo. Cerco di riposare un pò con i cani poi preparo
tutto ciò di cui avremo bisogno e lascio tutto il superfluo alla mia handler al
check point. Faccio l’ultimo rifornimento di caffè e ci prepariamo a partire. Si
va! Attraversiamo un piccolo aeroporto poi il trail costeggia la strada a lungo
per poi risalire e andare lungo una linea elettrica nella foresta per alcune
decine di km fino a quando cominciamo a “precipitare” repentinamente con una
discesa molto tecnica e pendente che ci porta ancora sul Gakona river.
No, non sarà un finale semplice. Mentre devo deviare il team sul fiume
ghiacciato ad un incrocio poco visibile i cani partono improvvisamente
strappando la linea dell’ancora principale che rimane piantata sul ghiaccio. E’
giusto dietro di me ma non posso lasciare il team per riprenderla. Andiamo così,
non è una cosa sicura ma non possiamo fermarci. Dobbiamo risalire su un trail
ripido per circa un miglio per poi tornare di nuovo lungo la strada. Quando
siamo a metà mi si presenta uno spettacolo da brividi e meraviglioso davanti
agli occhi: a circa duecento metri davanti al team vediamo uscire dagli alberi
un lupo nero che si ferma in mezzo al tracciato, ci fissa curioso e poi comincia
a correre davanti a noi. Io resto incantato con il cuore in gola e i cani
impazziscono e cominciano a correre in salita come fossero appena partiti.
Mancano ormai solo 10 miglia all’arrivo, poco più di 16 km. Non sarebbero tanti
ma cominciamo a renderci conto che su questo tratto sono scesi almeno 15 cm di
neve fresca. Siamo tutti
stanchi, non ci voleva anche questa, non ci sta. Abbiamo fatto quasi 500 km e
fino alla fine devo fronteggiare ancora delle difficoltà.
I cani ad ogni rallentamento della slitta mi guardano come a dire: “che si fa ci
fermiamo?”.
Io vinco la tristezza della situazione, li guardo e gli parlo con decisione: no
ca**o ragazzi siamo arrivati fino a qui e non possiamo fermarci! Ora vi aiuto,
pedalo con voi fino alla fine, magari cammino davanti alla slitta ma si va
all’arrivo!
Loro mi guardano come a dire…questo è impazzito!!! Però sembrano capire,
riprendono un buon ritmo e miglio dopo miglio (quanto sono lunghe le miglia
quando sei abituato a ragionare in chilometri!!) cominciamo a vedere in
lontananza le luci di Glennallen.
Io capisco che è fatta, loro capiscono che stanno arrivando.
Dio mio, il traguardo è lì, lo abbiamo fatto davvero, non è un sogno, non ci
sono più voci che mi parlano, non sto immaginando niente, è realtà e soprattutto
i fantasmi con i quali avevo un conto in sospeso da qualche anno sono volati
via.
La Copper Basin 300 è nostra! Un’emozione indescrivibile che porterò marchiata a
fuoco su di me per tutto il resto della vita anche se avrò bisogno di tempo per
realizzare l’importanza di questo risultato.
All’arrivo ringrazio i cani, ringrazio Rob e la nostra handler, ringrazio
chiunque sia lì intorno.
Ho sete, mi rendo conto che non bevo dalla mattina e ho sudato tantissimo e
anche nei giorni precedenti a parte tanto caffè non ho bevuto altro.
Bevo come se mi avessero appena salvato in mezzo al deserto.
Ora il mio desiderio è cambiarmi e fare una doccia, dopo tutti questi giorni non
devo avere un buon odore.
Dopo la doccia mi metto a letto, sorrido, sorrido tantissimo e mi addormento
sapendo che niente e nessuno potrà mai svegliarmi da questo sogno bellissimo.
P.S:
Un paio di considerazioni prima di concludere.
I cani con cui ho corso sono cani bellissimi, sono dei veri siberian husky.
La caratteristica che li accomuna sono le proporzioni anche se alcuni soggetti
non sono molto grandi le costruzioni sono sempre perfette.
Non ci sono gli omeri corti che vediamo fin troppo spesso né toraci pesanti. Le
groppe sono ben discese.
I movimenti sono con chiusure perfette e le toplines solide, mai cedevoli o
rampanti.
I pastorali sono ben inclinati in modo da poter flettere correttamente.
Lavorando con i cani seriamente si arriva a fare selezione perché un cane che
presenta anche un solo difetto strutturale non potrà mai espletare la sua
funzione originaria sulla distanza.
Dal di fuori si vedono delle foto bellissime fatte in forse due o tre km di
percorso in tutto. Non ci si chiede mai cosa succede negli altri quasi 500 km di
percorso di una gara come la CB 300 e nei mesi di preparazione che la precedono.
Cosa passa per la testa di un musher e cosa prova dentro di se durante le notti
infinite. La cura che si deve avere dei cani e di se stessi perché tu dipendi da
loro e loro da te. La stanchezza e l’assenza di sonno. Il freddo che ti strappa
letteralmente la pelle dalle dita delle mani e dei piedi. Il ghiaccio che spesso
ti si apre sotto la slitta e tu speri che l’acqua sotto non sia troppo alta e
che i cani non smettano di tirare e ti portino fuori.
Le migliaia di booties da mettere e togliere in tutta una stagione.
I quintali di carne o salmone congelati da tagliare.
La paura che ogni giorno un cane possa farsi male.
La neve portata dal vento che ti entra negli occhi fino ad accecarti.
La neve da spalare quasi ogni giorno.
La legna da spaccare per scaldarsi.
La solitudine quando campeggiamo nel nulla lontanissimi da qualsiasi segno di
civiltà e la mancanza delle persone care. Perché si sceglie di correre lunga
distanza allora? Non lo so, mi maledico ogni volta che sono in mezzo a tutte
queste difficoltà
però poi appena scendo dalla slitta sto male se non ci salgo velocemente di
nuovo. Sarà forse una conseguenza della mia misantropia acuta. Sarà che amo
talmente tanto la nostra razza che quando lavoro con loro apro gli occhi su ciò
che è realmente necessario per non perdere l’essenza del siberian husky.
Sarà che in tutto quel freddo, quella fatica, quel sacrificio io mi sento
dannatamente vivo.
Cara Michy, il progetto che avevamo iniziato insieme lo abbiamo portato a termine...
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